Elaborazione alternativa: Giuseppe Garibaldi cittadino peruviano












Senza alcun dubbio la presenza in Perú, nel secolo scorso, del leggendario eroe Giuseppe Garibaldi, costituisce una singolare curiosità storica. Poche personalità straniere, che hanno soggiornato nella nostra patria, possono richiamare tanta attenzione quanta l'insigne patriota italiano. La presenza di Garibaldi in Perú è localizzata nella casa della famiglia Malagrida, nell'angolo di Palacio e Polvos Azules a Lima ed in quella che fu la Villa Schiantarelli al Callao, nella quale vi era una targa commemorativa. Arrivò da New York il 5 ottobre 1851, precedentemente aveva contratto una malattia a Panama ed aveva compiuto alcuni viaggi in America Centrale. Per evitare problemi con le autorità di polizia, viaggiava con il  suggestivo nome di Giuseppe Pane, evocando in questo modo tempi d'avventura drammatici. El Comercio festeggiò il suo arrivo con il seguente commento: "Salutiamo con piacere il felice arrivo in questa capitale dell'illustre guerriero sostenitore dell'indipendenza della Repubblica dell'Uruguay e dell'unità e indipendenza italiana ". Era accompagnato dall'amico fraterno Francesco Carpaneto, che attendeva l'arrivo della sua nave, il San Giorgio che, tra l'altro, trasportava la statua monumentale di Mariano Necochea destinata al cimitero Presbitero Maestro. Prima di sbarcare a Lima si fermò un giorno a Paita, ospite di una generosa signora del luogo da anni costretta a letto a causa dell'apoplessia. È lo stesso Garibaldi a darne notizia nelle sue Memorie e ricorda questa giornata con molto piacere. La signora in questione altri non era che Manuelita Saenz, una signora di Quito molto legata a Simón Bolívar a cui aveva salvato la vita a Bogotá nel 1828. Abitava nel porto peruviano dopo essere stata esiliata da Santander, il presidente della Colombia. Secondo quanto scrive Tauro del Pino, attratta dalla gloria, avrebbe ceduto al corteggiamento di Bolívar e sarebbe morta a Paita vittima della peste del 1856. La sua capanna venne bruciata dalla polizia sanitaria e così si persero le preziose carte del generale e, tra queste, le lettere personali. Garibaldi la descrisse come la più graziosa e gentile dama che avesse mai visto, aggiungendo che conosceva i più intimi dettagli della vita di Bolívar, nonostante i 55 anni e l'invalidità cui era costretta, conservava negli occhi il "colore del diavolo" che impressionarono José de San Martín. Occhi che al momento di salutarsi si riempirono di lacrime e Garibaldi dichiarò di esserne rimasto colpito.
Gabriel García Márquez scrive nel "General en su laberinto" che furono tre le memorabili visite che la consolarono dall'abbandono: quella di Simón Rodriguez, il maestro di Bolívar, che morirá, poco distante, a San Nicolás de Amotape nel 1854; quella di Garibaldi e quella dello scrittore Herman Melville nel 1844, che navigava nelle acque di tutto il mondo per raccogliere materiale per il suo romanzo immortale, Moby Dick. Dopo questo viaggio lo scrittore descrisse Lima come la più strana e triste città che mai si potesse vedere, così come Sebastian Salazar Bondy in Lima la Horible e Estuardo Nuñez in Viajeros Extranjeros por el Perú. 
ll generale rimase molto impressionato dalla costa peruviana che trovò simile alle sabbie dell'Africa poiché le parti verdi sembrano oasi. Rivelò che pensava d'incontrare più vegetazione e si immaginava più bello il paese ai piedi dell'alta cordigliera. Era nella terra delle "Colline di Sabbia", come recita il titolo del libro di Fernando de Trazegnies, indubbiamente il continente gli offriva l’attrazione di essere la patria della scomparsa moglie Anita.
Uno degli immigranti ausoni Pedro Denegri, in italiano Pietro de Negri di Nizza, gli offrì il comando della Carmen per andare in Cina, era questa una nave a tre alberi di legno con vele quadrate di 400 tonnellate ed era stata acquistata in California. Il peso della nave sopra indicato è quello dichiarato da Garibaldi nelle sue Memorie, mentre alla Capitaneria del Callao erano state registrate 346 tonnellate e 343 in quella di Hong Kong. Abbiamo letto in alcune biografie la cifra di 700 tonnellate, che sicuramente comprendeva anche il carico. Intermediario di questa operazione fu Emanuele Solari, nativo di Chiavari e cugino di Mazzini con il quale si scriveva. Da un albero genealogico fornito dai suoi discendenti, i Checa Solari, risulta che la loro ascendente è Maria Camilla Mazzini, mentre Giacomo, il fratello di quest'ultima, è il padre di Giuseppe. 
Garibaldi dichiarò a Hong Kong che la nave era di proprietà di soci Sud Americani. Da ciò il professore australiano Phillip Keneth Cowie concluse che il socio in questione era il Solari. In effetti dall'archivio di Stato di Torino risulta che questi morì con testamento perché aveva sposato pochi giorni prima della morte la donna che tre anni prima gli aveva dato un erede, al quale spettava una ingente somma che era in custodia presso la Casa de Commercio di Pedro Denegri.
Solari era arrivato a Lima nel 1840 ed a proposito di questo viaggio, Mazzini scrisse alla madre dicendogli che suo cugino, non avendo motivo di trattenersi a Genova, stava per partire per Lima, perché "a parte che l'ingegno, non gli manca, ha un'attività e un savoir faire di grado estremo¨. Garibaldi, nelle sue memorie racconta di quando si recò nelle isole di Chincha per caricare guano, nel mese di novembre 1851, visitò oltre questa città, anche Pisco, Ica e Palpa. Fu ricevuto con grande entusiasmo dagli immigrati liguri stabilitisi in questi luoghi. A Palpa, andò a caccia di maiali selvatici e successivamente ritornò al Callao per gli ultimi preparativi prima di salpare per un lungo viaggio il 10 di gennaio del 1852. 
Cowie segnala che potrebbero esserci state due ragioni per il ritardo della partenza di Garibaldi. In primo luogo, la patente da pilota che aveva ottenuto, era da rinnovare ogni tre mesi dimostrando di aver compiuto un periodo di servizio trimestrale in acque peruviane, questo per poter partire con il documento rinnovato; la seconda ipotesi è che la nave Carmen, essendo arrivata a Lima per la prima volta nel settembre del 1851, il proprietario era vincolato alle formalità per regolarizzare l’iscrizione, alquanto difficile trattandosi di uno straniero.
Due mesi più tardi, durante la traversata, ebbe un sogno profetico con un incredibile caso di telepatia: si trovava a Nizza, in lutto, di fronte ad una processione funebre che veniva verso di lui. Esattamente in quello stesso giorno moriva la madre "mamma Rosa".  Dopo aver superato le isole Sandwich entrò, tra Luzon e Formosa nelle Filippine, nel mare della Cina. Racconta che giunto a Cantón fu inviato a Amoy in quanto in quel luogo non poteva vendere il guano. Dopo si recò a Manila con un altro carico e ritornò a Cantón dove per intraprendere il ritorno a Lima, fu necessario riparare la nave cambiando gli alberi e il rame della chiglia. Dagli scritti di Mino Milani risulta che la nave trasportava "coolies" ufficialmente, immigranti cinesi in realtà, povera gente arruolata con l'inganno e in condizione di virtuale schiavitù, la cui destinazione era il Perù, Cuba o le Antille. Denegri in tale occasione disse che Garibaldi trasportò "... tutti i cinesi ben alimentati ed in buona salute poiché erano stati trattati come uomini e non come bestie, mostrandosi unico esempio di umanità in questi viaggi quasi sempre crudeli". Scrive inoltre che "... è dovuto a questo viaggio se nella tradizione popolare Del Callao, Garibaldi era a volte etichettato come schiavista”
Trasegnies commenta che non si conosce il carico che portò dalla Cina, ma che molto probabilmente si trattava di cinesi. Già nelle prime pagine del suo libro, sottolinea che fra il 1848 ed il 1874 si trasportarono in Perú circa centomila cinesi perché, tra altre attività, lavorassero nelle isole del guano.
L'introduzione del poema di Juan de Arona, comincia con questi due versi: " non c'è dove non si trovi un cinese - dall'insaccamento del guano" Questo fa supporre che Garibaldi si trovò con alcuni di questi nelle isole di Chincha dove andò a procurarsi il carico prima di partire per la Cina. Dalle sue Memorie risulta solamente che ultimato il carico (che può anche interpretarsi come incarico) lasció Canton per Lima. El Heraldo Masonico racconta che portò merce e cittadini cinesi perché lavorassero nelle nostre isole del guano ció, senza considerare la cosa come un’offesa.
In una eccellente ricostruzione storica intitolata “Los italianos en la Sociedad peruana”, Giovanni Bonfiglio, senza fare riferimento alla possibilità che Garibaldi avesse trasportato cinesi, scrive che era possibile che il viaggio inaugurale della Carmen avesse lo scopo di aprire una rotta verso l'Oriente, perché erano quegli gli anni in cui, grazie alle facilitazioni della Legge d'Immigrazione del 1849, iniziava il trasporto dei coloni cinesi in Perú.  Rivela anche che la Carmen affondò nel 1858 durante la traversata di ritorno dalla Cina come conseguenza di un ammutinamento dei cinesi trasportati in quell'occasione. Chi si interessò molto a questo argomento è stato Cowie che ha sempre negato con enfasi ogni possibilità d'ingresso di cinesi in Perú tramite Garibaldi. Pur riconoscendo che anche quando era in vita circolavano queste voci, lamenta che non le abbia smentite nelle sue Memorie. Cita la biografia dell'avventuriero scritta nel 1881 dall'inglese Bent, il quale racconta che al momento di firmare il contratto con Denegri, Garibaldi annullò la clausola che l'obbligava a trasportare cinesi qualora il carico non fosse sufficiente, sostenendo con orgoglio che mai si sarebbe trasformato in trafficante di carne umana. Due sono le prove più convincenti che Covvie riporta per negare il trasporto di cinesi da parte di Garibaldi: primo, l'elenco delle navi che arrivarono nei porti peruviani tra il 1849 e il 1853 con la lista degli immigrati imbarcati che non sono solamente cinesi ma anche irlandesi e tedeschi; secondo, la lista delle merci che la Carmen trasportava da Cantón  pubblicata dal El Comercio il 25 gennaio 1853, trattasi di tutti i tipi di spezie, cera, madreperla, mobili, sigarette, seta e altri oggetti orientali. Indubbiamente sono prove validissime e di grande importanza.
La Carmen viaggiò attraversò il mare delle Indie fino l'Australia per arrivare ad una delle isole Hunter a imbarcare dell'acqua. La solitudine di quei luoghi trasportò Garibaldi mentalmente più di una volta verso il futuro, probabilmente questo ricordo  lo spinse a vivere più tardi nell'isola di Caprera. Si diresse in Nuova Zelanda e poi verso la costa occidentale dell'America. Arrivò a Lima dopo una traversata di 100 giorni, il 24 gennaio 1853. Sbarcò il carico (o l'incarico) e rimase a Lima fino il 1 marzo dello stesso anno, data in cui andò a Valparaiso, dove la Carmen fu noleggiata perché trasportasse un carico di cotone fino a Boston. Ritornò in Perú, nel porto di Islay, per imbarcare lana sopra il cotone e dopo un movimentato passaggio di Capo Horn,  giunse a Boston. Fu richiamato d'urgenza a New York dove con alcuni appunti da parte del proprietario, che non condivise, fu sollevato dal comando della nave.  Mino Milani segnala che non era chiaro quello che successe, essendo falso che la relazione di contabilità presentata da Garibaldi contenesse errori. A questo proposito, Pippo Ravenna segnala che l'impresario rimproverò Garibaldi di avere speso troppo nella traversata da El Callao a New York, forse "alcune centinaia di pesos in più". E' necessario comunque tenere presente che questo non rovinò le buone relazioni tra lui e Denegri, valido supporto a Lima della causa garibaldina.
Bonfiglio indica come prova della presenza di Garibaldi in Perú, il fatto che avrebbe acquisito la cittadinanza per ottenere una licenza da capitano di nave. Secondo quanto traspare dallo studio del suddetto sociologo, appare che l'illustre personaggio avrebbe cercato negli Stati Uniti tale permesso per navigare, essendo il suo arrivo in Perú condizionato dalla possibilità di poterlo ottenere.
Prima di salpare dal Perú verso l'Oriente, Garibaldi superò l'esame da pilota. La cosa più significativa è che la relazione dell'ufficio che diede la valutazione segnala di avere esaminato Giuseppe Garibaldi, nativo di Genova e cittadino del Perú. Da questa prova emerse una "...sufficiente conoscenza della nautica e dei mari d'Europa e America e con alle spalle un numero maggiore di viaggi di quanti si richiedono per aspirare alla classe di pilota di alti mari" Come scrive Raúl Porras Barrenechea nel suo magnifico saggio Los viajeros italianos en el Perú il cesareo condottiero adottò così la cittadinanza peruviana. Egli divenne peruviano, anche se nato a Nizza nel 1807 quando questa città apparteneva al regno di Savoia e solo successivamente sarà ceduta alla Francia. Il distinto professore Carlos Ramos Núñez ha precisato dopo una ricerca, che il Decreto del 16 marzo 1839 imponeva come obbligo nel suo primo articolo, che i capitani di nave fossero peruviani di nascita o che avessero ottenuto il documento di cittadinanza peruviana. Anche se successivamente, con il Decreto del 4 agosto 1840, si consentì che gli stranieri potessero operare come capitani sulle navi nazionali, presentandosi previamente presso il Comando Generale della Marina per essere esaminati, in base alla valutazione, essere iscritti in un registro di matricola, senza il requisito della nazionalizzazione, quest'ultima condizione rimase in vigore per i proprietari conduttori delle imbarcazioni minori utilizzate nel commercio di cabotaggio lungo le coste dello Stato. Secondo l´articolo 28 della legge del 7 gennaio 1848, non potevano operare se non erano cittadini ed immatricolati e dovevano essere esaminati da una Giunta del Dipartimento della Marina per valutare se avessero una esperienza sufficiente di pratica marittima. In sintesi, per essere capitano bastava l'esame e la matricola, ma per il commercio di cabotaggio c'era bisogno anche del requisito di essere cittadino peruviano. Per questo si concesse a Garibaldi la nostra cittadinanza, e questo viene riconosciuto dai suoi biografi stranieri l'inglese Mck Smith e l'italiano Milani.         
Garibaldi aveva combattuto per l'indipendenza di Rio Grande do Sul in Brasile contro il dittatore argentino Juan Manuel Rosas di cui conserviamo il "facon" o coltello personale a doppia lama con un gancio per portarlo alla cintura, datato 1818, con l'impugnatura d'argento e le sue iniziali. Essendo il tiranno soprannominato "taglia teste" ci domandiamo se qualche volta, o più di una, l'arnese fu usato per accorciare la vita di qualcuno. Il Conte Walewski, figlio di Napoleone e Maria Walewska, diplomatico francese, all'epoca in Argentina, riferì di Garibaldi come "uomo capace di trionfare in qualsiasi impresa", e Bartolomé Mitre come "l'uomo che ha conquistato la fama con il proprio valore e dedizione". In Italia aveva lottato contro gli austriaci a favore dell'unificazione ed aveva perso la moglie Anita Ribeiro, creola brasiliana con la quale si era sposato a Montevideo, immortalata nel Gianicolo a Roma da una statua equestre che la raffigura sopra un cavallo rampante che poggia sulle zampe posteriori. Un particolare molto pittoresco sul suo soggiorno a Lima è la testimonianza di Ricardo Palma, che scrisse a questo riguardo una delle sue Tradiciones Peruanas intitolata "Tra Garibaldi ed io". Racconta il nostro illustre letterato che quando egli era correttore di bozze nel giornale El Correo di Lima, scriveva presso questo giornale un commerciante francese, Carlos Ledos che partecipava alle riunioni presso il giornale assieme a Mariategüi e Laso. Svolgeva il duplice lavoro di agente commerciale e quello di giornalista specializzandosi nel fare critiche al governo. Il 4 dicembre 1851 pubblicò un articolo intitolato "Eroi di paccottiglia" riferendosi a Giuseppe Garibaldi, burlandosi del patriota Mazzini e del re di Sardegna Carlo Alberto. Due giorni dopo, alle due pomeriggio nella redazione, mentre stava scrivendo, racconta Palma,  apparve sulla soglia della porta un signore che chiedeva del francese. Palma, riconoscendo il caudillo italiano, gli indicò con precisione dove trovarlo, a pochi isolati dal giornale. Trovato l'autore dell'oltraggio nel locale commerciale, diede a Ledos due bastonate e quest'ultimo, difendendosi con un righello, riuscì a colpire Garibaldi sulla testa.  Finirono ambedue con i volti insanguinati e vennero separati fino all'arrivo della polizia a cavallo guidata dal Prefetto di Lima che disperse la moltitudine di persone che si era nel frattempo radunata. Il rumore della strada arrivò alle orecchie di Palma il quale corse fino al luogo del fatto sentendosi responsabile per aver indicato l'indirizzo richiesto. Dovette intervenire il Console della Sardegna, José Canevaro per evitare la prigione a Garibaldi. Forse, influì molto nell'animo del rappresentante consolare la sua relazione di parentela con Pedro Denegri. Anche Porras commenta l'incidente dichiarando di non avere avuto accesso alle Memorias autobiografiche dell'eroe che raccontano con dettaglio il fatto. Quanto successe accentuò di molto la tensione tra la colonia italiana e francese e dovette intervenire quale mediatore lo stesso Presidente Echenique perché si arrivasse ad un accordo. L'articolo era veramente offensivo. Affermava che in epoca di rivoluzione, venivano in evidenza gli uomini più volgari e oscuri, che emergevano dalla massa, nella quale si trovavano confinati dalla propria mancanza di talento e di educazione. Definiva Garibaldi come un pigmeo che avevano voluto trasformare in un gigante e come una caricatura per la sua assoluta nullità intellettuale. Finiva paragonandolo a "Don Quijote" ma senza l'ingegno di questo; rappresentandolo come ignorante e grossolano, degno di vivere in una caverna e non tra gente civilizzata. Il giorno successivo El Comercio salvò la dignità nazionale, sostenendo che l'autore aveva fatto bene a identificarsi, giacché sarebbe stato molto doloroso per i peruviani che si  credesse  dentro e fuori del paese,che sarebbe stata quella l'ospitalità che si offriva agli sventurati. E assicurò anche all'eroico esiliato che poteva riposare tranquillo tra di noi, perché era protetto dall'albero della libertà che tanti coraggiosi avevano bagnato con il proprio sangue. A proposito dell'incidente, El Correo de Lima tacciava l'eroe come un assassino, ma era di nuovo El Comercio a raccontare obiettivamente quanto accaduto invitando il Generale Garibaldi a non preoccuparsi più dei suoi miserabili denigratori ed a continuare il proprio cammino di gloria.
In una biografia su Garibaldi che Rizzoli pubblicò sottolineando il fatto che se somigliava in qualche modo ad un romanzo il merito era soltanto del suo personaggio. Indro Montanelli ne racconta il fatto scrivendo ... una notte in casa di un compatriota presentarono all'eroe un francese, un tale Ledos, il quale al momento di salutarlo gli disse: "Piacere di rivederla". Domandando Garibaldi dove si fossero incontrati, Ledos rispose: "Nell'assedio di Roma". A questa risposta, carico di rancore verso i francesi, il caudillo rispose: "Non ricordo. A Roma non ho visto di voi che i vostri posteriori". Secondo quanto scritto da Canevaro, l'episodio avvenne il 30 novembre 1851 durante il ricevimento per il matrimonio di Rocco Pratolongo. Lo stesso Garibaldi racconta nelle sue Memorias che quando abitò in casa di Malagrida, ogni tanto arrivava in visita un francese assai sciovinista, motivo per cui cercava di evitarlo, costui un giorno gli parlò della spedizione romana degli eserciti di Bonaparte, eccedendo in termini poco decorosi riguardo gli italiani, che obbligarono Garibaldi a rispondere aspramente. Questa risposta mordace sarebbe stata la causa dell'articolo e del litigio a cui si riferisce Palma. Smith annota che Garibaldi raccontò dopo, senza vantarsene, che aveva attaccato un francese per sfogare il risentimento che provava allora verso la Francia. Era impossibile per Garibaldi dimenticare la lotta accanita a cui aveva preso parte due anni prima per difendere Roma dai francesi che alla fine l'occuparono. In tale occasione confessò che, scoraggiato, non aveva in quel momento altro desiderio che morire. Segnalò di avere passato due ore colpendo e lottando senza tregua e che quando venne l'alba, si trovò coperto di sangue ma senza neanche una ferita. "Questo è stato un vero miracolo" puntualizzò. Questo era il suo comportamento nel campo di battaglia. Inoltre, mentre si ritirava a Venezia morì sua moglie Anita, per cui quel periodo pesava molto nella sua vita. Mino Milani ritiene che l'incidente abbia avuto importanza storica, in quanto la partecipazione di Canevaro da Console della monarchia diede inizio ad una evoluzione favorevole del sistema, che aveva una degna rappresentanza all'estero nei vari funzionari, personaggi orgogliosi del nome italiano e volenterosi di mantenerlo alto. Questo avrebbe influito più tardi nelle dichiarazioni fatte da Garibaldi a Genova a favore del Piemonte. Risulta interessante la testimonianza di Canevaro pubblicata da Bonfiglio: riferendosi al Perú, dice che "anche se il suo governo è repubblicano, la maggior parte, quella più sana dei governanti e della popolazione, odia tale sistema per le continue rivoluzioni interne, che in passato hanno isolato questo paese, e per il continuo spogliamento dell’azienda pubblica”. Secondo l'archivio di Luis Lazarte Ferreyros, compilato e diretto da Juan Miranda Costa in Appunti su cento famiglie stabilite in Perù il suddetto console sardo, José Canavaro Raggio, nativo di Zoagli, distretto di Chiavari, sposò donna Francisca Valega, sorella di Carmen, moglie di Pedro Denegri, proprietario della nave di cui abbiamo gia parlato, ed ebbe da questo matrimonio niente meno che tredici figli. E' evidente che questa parentela influì sull'attenzione che il Console prestò al problema in questione. Molti di questi figli parteciparono in modo distinto alla vita sociale e politica del paese. Il generale César Canevaro Valega fu deputato, senatore, Sindaco di Lima, Capo dello Stato Maggiore, Generale dell'Esercito, primo vicepresidente del Partito Costituzionale che diresse il generale Andrés C. Cáceres, primo vicerpresidente di questi durante la sua seconda amministrazione nel 1894 e primo vicepresidente di Leguía all'inizio dei suoi undici anni di governo poi, nel 1919 si sposó con donna Ignavia Rodulfo, la cui memoria si venera nella Fondazione che porta il suo nome. Il primogenito José Francisco Canevaro Valega, nove anni maggiore del fratello, fu secondo vicepresidente della Repubblica con Mariano Ignacio Prado (1878).
Felice Napoleon Canevaro Valega, di un anno minore, viaggiò in Italia e partecipò alle milizie garibaldine nel 1860, successivamente divenne ammiraglio della marina italiana. Rafael Canevaro Valega, di cinque anni minore, fu Decano del Corpo Consolare di Lima e Presidente del Club Nacional. Bonfiglio ci fa notare quanto sia sintomatico che Antonio Raimondi non contattasse Garibaldi malgrado abbiano ambedue partecipato ai movimenti di Roma nel 1849.
Il distinto sociologo spiega l'atteggiamento nel desiderio del grande naturalista di lasciare il proprio testamento politico alla gioventù peruviana. Per altro, come scrive Pippo Ravenna, è curioso che appena tre mesi prima che Garibaldi andasse a caricare il guano nelle isole di Chincha, Raimondi fosse stato proprio nello stesso luogo  lavorando alle sue ricerche scientifiche. Malgrado questo abbiamo trovato un dato in senso contrario nella Storia Cronologica del Perú, 1850-1878, di Lázaro Costa Villavicencio, è riportato infatti che il grande saggio visitò Garibaldi e gli disse: “Il destino vuole che Lei sia il liberatore dell’Italia, il mio è quello di riuscire a rivelare la natura di questo meraviglioso paese.”
Il medico italiano Nino Barazzoni, che fu console d'Italia nel Callao, racconta come rimase stupito, mentre operava in una modesta casa di un tale Schiantarelli, questi gli disse: "Questa è l'abitazione di Garibaldi". Quando si rese conto che l'eroe delle pagine più epiche del risorgimento italiano, dopo la gloria ottenuta a Roma e quando il suo nome era già conosciuto a livello mondiale, aveva vissuto in questa povera stanza, guardò con rispetto le quattro pareti dentro le quali forse aveva passato le ore più tristi del periodo più infelice della sua vita. Nel senso poetico Pippo Ravenna ha paragonato quest'umile abitazione a quella di Epaminondas, che quando la vide Alessandro Magno espresse la seguente riflessione: "Una casa così piccola non poteva che ospitare un uomo così grande". Interessato vivamente al tema dell'illustre visitatore, Barazzoni ebbe la fortuna di conoscere uno dei pochi sopravvissuti tra gli amici di Garibaldi in Perú: il genovese Michele Canessa, fabbricante di sapone. Conversò molte volte con lui e scrisse la sua testimonianza. Questo contemporaneo del leggendario avventuriero gli raccontò che Garibaldi arrivò in Perú con la speranza che maturassero gli eventi favorevoli nella propria patria e scelse la nostra come avrebbe potuto scegliere qualsiasi altra. Trascorreva i giorni leggendo nell'orto, giocava a bocce come nella sua terra e andava a vedere alcune corridas de toros, che gli piacevano molto. Come passeggiata prediletta scendeva nel porto, percorreva il molo per vedere le navi e cercare marinai italiani per aver notizie dell'Italia. Quando andò in Cina, Canessa fu incaricato di controllare ogni corrispondenza che gli arrivasse dall'Italia. Un giorno lo avvisarono che la "Carmen" era in procinto di avvicinarsi al porto, contrattò una barca e andò incontro alla nave. Quando salì a bordo venne riconosciuto da Garibaldi che gli gridò: "Mi hai portato le lettere?". Alla sua risposta negativa, Garibaldi, contrariato, bestemmiando lo coprí di improperi per l'impazienza di avere subito le notizie che arrivavano dall'Italia. Quella notte il generale lesse tutta la corrispondenza e poi cenò con il volto illuminato dalla gioia. Canessa raccontò che trovò Garibaldi estroverso come non mai e di un umore molto buono. Questo ci fa pensare che non è esatto quello che affermano alcuni biografi come Milani, che da quelle lettere apprese della morte della madre. Senza dubbio ricevette questa notizia quando si trovava in oriente.
Montanelli ha scritto che nelle Memorie e nell´epistolario esistono poche tracce del periodo vissuto dall'eroe in America e in Oriente e che molto probabilmente è stato il più grigio della sua vita. Mack Smith racconta che si sa pochissimo del periodo nel quale l'eroe è stato con noi perché scrisse poche lettere e perché questo periodo e stato il più triste ed oscuro della sua vita.
Jessie White, che lo frequentò molto, intuì che fu il peggiore periodo della sua vita, tanto che raramente ne parlava ai suoi amici. Egli stesso scrisse "di credere che la distanza poteva attenuare l'amarezza dell'anima ma che fatalmente non era vero, avendovi trascinato una esistenza movimentata, acida e molto poco felice, essendo già preparato e onorato a servire una causa così santa: l'emancipazione della mia terra". Al ritorno in Italia, nel 1854, con l'eredità avuta da suo fratello Felice comprò metà dell'isola Caprera che fa parte dell'arcipelago della Maddalena, in Sardegna, ed è situata di fronte a Porto Cervo. Nel 1855 alcuni amici inglesi gli regalarono l'altra metà dell'isola, dove costruì una casa di stile sudamericano e si dedicò alla pesca, ad allevare animali ed a coltivare il suo orto. Un fatto poco conosciuto è il vincolo che ha legato Garibaldi alla società massonica peruviana. In effetti, il 20 settembre 1849 i residenti del Callao decisero di fondare la loggia Unión con la Marina Peruana, cambiarono poi il nome in Concordia Universal, col quale rimasero iscritti.
Secondo quanto informa EL Heraldo Masonico, Garibaldi fu consultato sul nome più appropriato da dare alla loggia e propose quello di Cruz Austral in omaggio a questa splendente costellazione di stelle che lo avevano guidato nel viaggio in Asia. Si deve ancora esaminare il vincolo che legava Garibaldi agli illustri pensatori e politici peruviani che appartenevano alla massoneria; tra loro c'era anche Francisco Bolognesi, discendente di italiani che sarebbe poi diventato il  grande eroe nazionale.
In un'intervista concessa alla rivista Incontri, il Maestro Jorge Puccinelli Converso raccontò che il suo primo antenato proveniente dall'Italia che si stabilì in Perù, fu il bisnonno materno Vicente Dall'Orto che giunse dalla riviera ligure nel 1836 e si stabilì nel Callao dove conobbe Garibaldi e lo ebbe come vicino. La loro amicizia dovette essere molto stretta perché nel suo viaggio in Oriente, il leggendario creatore dell'unità d'Italia, portò un dagherrotipo raffigurante il suo ascendente, con esso incaricò un pittore cinese di farne un ritratto ad olio che ora è conservato come prezioso ricordo familiare e come da buon patriota fu comprato dal bisnonno per appoggiare le campagne militari garibaldine.
Altra nota molto curiosa, durante la presenza dell'eroe, un altro distinto straniero soggiornò a Lima: Paul Gauguin. L'esimio pittore infatti, visse da noi dal 1849 al 1854 insieme alla madre Aline e alla sorella Marie e all'età di sei anni ritornò in Francia. Nonostante la giovane età ricordava con grande memoria visiva la vita qui trascorsa. Richiama la nostra attenzione il suo ricordo del giorno che incontrò in una drogheria un suo "domestico cinese che sapeva così bene stirare”.
Il vincolo di Garibaldi col Perù si prolunga oltre la sua presenza nelle nostre coste. Porras ci fa conoscere una bellissima sua immagine di "peruanità" quando nel 1864 gli spagnoli occuparono le isole di Chincha, le stesse che conobbe, come è documentato, tredici anni prima quanto fece il caricò di guano che poi trasportò in Cina. Garibaldi dall'isola di Caprera scrisse una lettera che fu pubblicata a Ginevra. In essa diceva che "un'aggressione contro il territorio peruviano ha provocato delle grida di riprovazione e vendetta in tutte le nazioni sorelle". Denunciava inoltre la "schifosa associazione dei tiranni di Europa per la schiavitù comune", sentenziando che i tiranni passano mentre le Nazioni sono immortali. A quel tempo Garibaldi aveva già raggiunto la gloria per i fatti del 1860 e fu elogiato da Francisco de Paula González Vigil in una lettera il cui contenuto fu diffuso da Porras, e Carlos Enrique Pasta compose in suo onore il Gran Himno Guerrero. E' doveroso puntualizzare che due anni prima, in Italia, Olivieri aveva composto l'Himno Garibaldi, con le parole di Mercantini. Quando nel 1862 Garibaldi fu ferito ad una gamba nella battaglia di Aspromonte, il medico Zanetti prima di estrargli la pallottola si mise in contatto epistolare con il chirurgo francese Nélaton, che era il medico personale di Napoleone III, e riuscí a salvargli la gamba estraendo le schegge con una sonda flessibile creata per l’occasione: invenzione che si usa ancora oggi.
Gli italiani residenti in Perú festeggiarono l'evento incaricando l'incisore Seregni a coniare delle medaglie d'oro e di rame in onore dei suddetti medici.
La presenza di Garibaldi risvegliò una grande corrente a favore dell'Italia. Nel 1861 il governo di Ramón Castilla riconobbe immediatamente, come già da proclama del Parlamento di Torino, Vittorio Emanuele II° quale nuovo Re d'Italia. Racconta Porras che ci furono "negli anni della lotta per la liberazione e in occasione delle esequie di  Carlo Alberto Re di Sardegna furono realizzate a Lima,  in manifestazioni di fervida simpatia per le camice rosse dei garibaldini, collette pubbliche a favore dei repubblicani italiani ed inoltre, fu salutata l'occupazione di Roma nel 1870  malgrado il profondo cattolicesimo del popolo peruviano”.
Allo stesso tempo Basadre rende noto nella sua Historia de la República di undici pompieri italiani fucilati dai cileni a Chorrillos nel 1881, segnalando che ci fu una smentita ufficiale da parte della colonia italiana alla notizia divulgata di una colonna di garibaldini che avrebbe combattuto a fianco dei peruviani a Miraflores. Ciononostante in una nota aggiunta posteriormente viene diffusa la versione romantica che sosteneva che i pompieri fucilati avrebbero preso parte attiva, come legione, alla battaglia con le loro classiche camicie rosse a fianco delle truppe peruviane. Aggiunge che sarebbero stati giustiziati come soldati stranieri al servizio di un esercito vinto. Siamo felici di avere una relazione genetica con l'eroe perché ancora oggi vivono i pronipoti di Garibaldi che portano il cognome paterno.
La spedizione dei Mille trasformò Garibaldi in un personaggio leggendario in tutto il mondo, il suo nome divenne sinonimo di speranza per i popoli oppressi.
Il presidente Lincoln gli offrì il comando di una armata nella guerra di secessione contro gli schiavisti del Sud. Nel 1861 Garibaldi chiese al Presidente americano qualcosa di più ambizioso: il comando di tutto l'esercito e che abolisse la schiavitù o che dessero a lui il potere per farlo. C'erano quindicimila volontari italiani già pronti per arruolarsi. La partecipazione di Garibaldi non ci fu ma nel 1863 Lincoln dichiarò l’abolizione della schiavitù.
Non dobbiamo dimenticare che nel Perú il Presidente Castilla lo fece nel 1855.
Da allora in poi Garibaldi si rivolse a Lincoln chiamandolo emancipatore.
Una delle relazioni più pittoresche che Garibaldi stabilì con i suoi contemporanei fu quella che sviluppò con Alejandro Dumas padre. Quando l'eroe organizzò la spedizione dei Mille e tornò in Sicilia, Dumas che si trovava, nel Mediterraneo navigando con la sua barca Emma, si diresse a Palermo dimostrando grande energia malgrado i suoi sessant'anni. Montanelli ci dice che mangiava come un bue e beveva altrettanto, propose a Garibaldi, che immediatamente accettò, di diventare il suo ambasciatore di fronte ai capi di stato stranieri, questo per evitargli qualsiasi difficoltà diplomatica. Si mise completamente a disposizione della causa garibaldina. Correva l’anno 1860.
La condotta stravagante del drammaturgo e della sua compagna di sedici anni vestita d'ammiraglio, contribuirono a stabilire una nota di curiosità nell'esercito garibaldino. Grazie a questa associazione provvidenziale Alessandro Dumas lasciò delle bellissime pagine sulle epopee garibaldine, alcuna di queste assai romanzesche che forse influirono nella vocazione letteraria di Garibaldi e le troviamo espresse nelle sue Memorie e nei romanzi Clelia, Il Governo del Monaco, Cantoni il Volontario e I Mille, così pure nelle sue innumerevoli lettere.
Garibaldi fu poliglotta perché oltre all’italiano dominava l’inglese, il francese, il portoghese e lo spagnolo.
Al culmine della gloria, ovunque si trovasse, molta gente si raggruppava attorno a lui. Nel 1864 visitò l'Inghilterra dove fu ricevuto con grandissimi onori. Tra la folla l'osservava impavido il tiranno esiliato dall'Argentina, Rosas, contro il quale aveva combattuto. Karl Marx, che lo disprezzava, qualificò le manifestazioni una "deplorevole buffonata". La regina Vittoria sentì vergogna per la moltitudine ma il futuro Re Eduardo VII, contro l'opinione della madre, andò a Londra a vederlo. Disraeli invece si rifiutò di dare la mano a quel pirata.
Arrivò alla stazione di Londra con un treno speciale alle due del pomeriggio dell'11 aprile, ad attenderlo c'era mezzo milione di persone. Dieci anni prima, ritornando dal Perú, era stato a Londra e aveva riscosso la stessa popolarità. Soltanto alle otto di sera riuscì a giungere nella casa dov'era invitato. Qui vi trovò Mazzini che fece un brindisi per la libertà dei popoli e per la persona che con le proprie azioni la personificava. Andò a colazione con l'ambasciatore Buchanan, futuro Presidente degli Stati Uniti, anche in quest'occasione s'incontrò con Mazzini. La sua presenza era scomoda e toccò a Gladstone, allora Primo Ministro, il compito di convincerlo a ritornare in Italia. 
Nel 1870 scoppiò la guerra franco prussiana e dopo la sconfitta di Sedan, Napoleone III° cadde e fu proclamata la Repubblica. Gambetta aveva dichiarato che la Francia si sarebbe trasformata in un immenso campo di battaglia e fece cercare Garibaldi a Caprera affinché si unisse ai francesi. L'eroe gli inviò un telegramma: "Metto a sua disposizione quel che resta di me. Può disporre". Comandò l'esercito dei Vosgi ma, per ironia della sorte, questo allontanamento dalla sua patria lo trovò assente al momento della consacrazione dell'unificazione d'Italia per cui tanto aveva lottato. Victor Hugo dopo l'armistizio andò in esilio riconoscendo che tra tutti i generali che avevano combattuto per la Francia, Garibaldi era l'unico che non era stato vinto, riscattando così l’onore nazionale. In contemporanea alle sue celebri opere Hermani e Rui Blas, il grande poeta francese scrisse un vasto poema intitolato Mentana dedicato a Garibaldi, elogiando le sue imprese. Fu in quell'epoca che Chilly, Direttore del Teatro Imperiale dell'Odeon, inviò a Victor Hugo la famosa lettera annunciando che aveva l'onore di informargli che la ripresa di Ruy Blas era proibita. L'illustre letterato rispose molto aspramente indirizzando la lettera all'Imperatore Luigi Bonaparte nei seguenti termini: “ Signore, ho ricevuto la sua lettera firmata Chilly”.
Il paragonare Garibaldi a un semidio si manifestò in una parafrasi abbastanza irrispettosa della Santissima Trinità scritta da un partigiano : Padre della Nazione, Figlio del Popolo e Spirito della Libertà. Addirittura a livello popolare uscì una versione del Padre Nostro nella quale si intercalavano frasi allusive all'eroe e alle sue imprese. Questo culto si estese dall’America alla Russia, dove molti aspettavano il giorno del suo arrivo.
Teneva una fortissima natura e voce risoluta, si diceva che era formidabile nei momenti d'ira, ma nel riposo aveva lo sguardo tranquillo ed il sorriso dolce. Nel centenario della sua nascita fu ricordato nel Perú da GioBatta Isola come un leone coraggioso, bello e biondo, di apparenza gentile e sensibile ai sentimenti più delicati. Ma soprattutto, come diceva Georges Sand, ed è cosa documentata dalle fotografie dell'epoca, “il suo volto esprimeva più nobiltà e serenità che bellezza”. 
   
(Si ringrazia il Consolato Generale del Perú in Roma per la cortese collaborazione)

Isola di Caprera: Il Museo garibaldino

GIUSEPPE GARIBALDI

Bicentenario della nascita

4 luglio 1807  -  4 luglio 2007

Isola di Caprera: il pino piantato da Garibaldi alla nascita della figlia Clelia

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